SPECIALE PALESTINA/Il racconto di David Monticelli, partito per Gaza e tornato con grande amarezza
Resoconto finale di uno dei protgonisti, l’osimano David Monticelli, persona assai amata in città e stimata per la coerenza e la serietà con cui ha condotto le sue battaglia sociali e civili. Uno che ci mette la faccia.
OSIMO – L’immagine di alcuni uomini aggrappati ad uno scoglio, che cercano disperatamente di resistere alla violenza delle onde che si fa sempre più forte contro di loro, rappresenta in maniera eloquente l’attuale situazione nella Striscia di Gaza, (davvero uno scoglio di terra). Il popolo palestinese sta subendo ogni forma di violenza da parte di Israele in oltre 20 mesi di genocidio, eppure si aggrappa con tutte le sue ultime forze a quella terra, dimostrando un grandissimo coraggio e un grandissimo amore per la propria patria.
Constatando questa situazione, credo che in questi mesi sia venuta a tanti l’idea utopistica che i popoli di tutto il mondo possano tendere una mano a quegli esseri umani aggrappati alla vita laggiù: perché non provare a marciare uniti a milioni verso Gaza, aprendo la Striscia agli aiuti umanitari bloccati da Israele e liberare dalla fame (oltre che dalle bombe) il popolo palestinese?
Così, quando ho saputo che qualcuno stava cercando di organizzare la Global March to Gaza, una marcia internazionale pacifica di tre giorni da Al Arish al valico di Rafah attraversando il Sinai egiziano per chiedere lo sblocco degli aiuti e l’apertura di un corridoio umanitario, mi sono detto: “David, devi partecipare!”
Nei giorni precedenti la partenza, prevista per il 12 giugno, si è molto parlato di un’autorizzazione egiziana non ancora concessa, ma neppure negata ufficialmente. Si diceva di trattative segrete tra gli organizzatori internazionali della marcia e l’Egitto e c’era un cauto ottimismo.
Si affermava inoltre in modo netto l’intenzione di non creare incidenti e di rispettare le autorità egiziane. Le direttive suggerite dal team legale della Global March erano cambiate più volte: alla fine si era deciso che si entrava in Egitto come turisti non svelando la volontà di partecipare alla marcia in quanto non ancora autorizzata. Figura 1: David Monticelli al Cairo La mattina del 12, mentre in treno mi recavo a Roma insieme ad altri due marchigiani, sono cominciate a giungere notizie preoccupanti su cosa stava succedendo all’aeroporto del Cairo. La polizia stava fermando tutti i partecipanti e li rimpatriava. Ne aveva anche prelevati nottetempo dagli alberghi per poi espellerli. Ho saputo successivamente che ci sono stati fermi anche di 24 ore. Arrivati a Fiumicino ci siamo dati appuntamento con altri di fuori regione per decidere cosa fare: partire o non partire? Le comunicazioni che si sovrapponevano in maniera caotica parlavano dei molti dubbi sull’opportunità di farlo. So che gruppi interi in partenza dall’Italia hanno rinunciato. Un umbro mi ha riferito che l’unità di crisi della Farnesina lo aveva sconsigliato di partire. Dopo molte riflessioni, alla fine – coi marchigiani – abbiamo deciso di partire lo stesso: altri sono restati in Italia. Nel frattempo Antonietta Chiodo, capo della delegazione italiana della Global March, aveva sollecitato un intervento diplomatico dell’Italia che dopo circa 10 ore è arrivato: il console italiano trattando con le autorità egiziane aveva ottenuto di sospendere i rimpatri e di rilasciare i fermati. Quasi tutti gli italiani erano potuti rimanere. All’arrivo all’aeroporto del Cairo, mentre altri partecipanti dalla Puglia sono passati senza problemi, io sono stato mandato nell’ufficio della Polizia, dove dopo diversi controlli mi hanno lasciato andare. Abbiamo preso un taxi e siamo così arrivati agli ostelli che ci avrebbero ospitato quella notte. L’indomani mattina, il 13 giugno, ci siamo alzati in un clima di forte tensione: le camionette della polizia in assetto antisommossa erano dappertutto. Pensavo si trattasse della normalità e invece scoprimmo successivamente dagli abitanti del quartiere che la polizia egiziana era lì per noi. I gruppi di Marche, Toscana e Lombardia, una trentina di persone in tutto, dovevano incontrarsi per fare il punto della situazione nell’appartamento dove saremmo rimasti fino a sera, situato al 9° piano di un palazzo con scale ripide e fatiscenti, che – con gli zaini in spalla – sembrava la scalata del monte Everest! C’era un problema però: gli assembramenti di più di 10 persone sono proibiti in Egitto perché, senza autorizzazione, vengono ritenuti atti potenzialmente pericolosi. La mattina è proseguita in un susseguirsi di direttive contraddittorie che arrivavano, si suppone, dalla dirigenza nazionale. Alcuni dicevano che la partenza per Al Arish era stata cancellata, e che si doveva andare a Ismailia. Antonietta Chiodo invece aveva invitato tutti i membri della delegazione italiana a non partire, poiché le autorità egiziane non avevano autorizzato alcun presidio a Ismailia. Intanto la polizia si era appostata sotto al nostro palazzo seminando agitazione generale, essendo noi 30 persone riunite, ben più delle 10 persone concesse dalla legge egiziana. A un certo punto una delle due portinaie ci ha avvisato che la polizia stava salendo le scale. C’è stato un momento di panico: ognuno diceva la sua, ma in realtà non c’era altro da fare che restare lì. Per sdrammatizzare ho detto che la polizia non ci avrebbe mai preso, perché non si sarebbe mai fatta nove piani di scale con quel caldo. Non volendo, ho avuto ragione: i poliziotti non sono saliti e hanno inviato al loro posto le portinaie, che hanno fatto le foto ai nostri documenti. Le forze dell’ordine ci controllavano, era chiaro. Anzi ci conoscevano uno ad uno già dall’arrivo all’aeroporto. La mattina, mentre mi recavo all’appuntamento al fatidico 9° piano con gli altri marchigiani, ero stato improvvisamente circondato da 5 individui in borghese mentre passavo a fianco di diverse camionette della polizia. Deduco che volessero fermarmi, ma – dopo una serie di rapidi cenni con qualche ufficiale lì vicino – questi individui con nonchalance si sono allontanati, lasciandomi proseguire come se nulla fosse. Nel pomeriggio si sono susseguite notizie da Ismailia: la polizia aveva fatto dei posti di blocco e quasi nessuno era riuscito ad arrivarci. Qualche centinaio di persone della Global March, forse un migliaio, erano state bloccate in un’area di servizio e circondate dalla polizia in tenuta antisommossa. Anche Zwelivelile Mandela, nipote di Nelson Mandela, era stato fermato. Chiusi nell’appartamento ci si chiedeva cosa fare, mentre ci giungeva voce che la notte precedente Israele aveva bombardato l’Iran, una notizia che si sovrapponeva a quelle locali, infiammando ancora di più la situazione. Nel frattempo Antonietta Chiodo, in una riunione online ci riferiva che coloro che erano andati a Ismailia senza autorizzazione, tra cui qualche italiano, avevano fatto imbestialire gli egiziani che avevano rotto ogni trattativa. Di fatto si era chiusa ogni possibilità di marciare verso Rafah. È arrivata la sera e poi la notte. Le discussioni continuavano in una crescente stanchezza. In considerazione dell’impossibilità di marciare e della crescente ostilità delle forze dell’ordine egiziane nei nostri confronti, ho deciso di tornare in Italia. Mi sono chiesto se non fosse stato meglio restare per tentare di dire, tra le molte voci divergenti, che la vasta partecipazione internazionale alla marcia, (migliaia di persone da 54 Paesi di tutto il mondo con ideologie, religioni e orientamento politico diversi), è stata già la nostra vittoria. Andare fino al confine con Gaza, con la presenza di una comunità umana così vasta dopo tre giorni di faticoso cammino, sarebbe stato un gesto simbolico di enorme valore agli occhi dell’opinione pubblica mondiale e un supporto morale importante per i palestinesi, anche se non avrebbe avuto effetti concreti nell’alleviare le loro sofferenze fisiche. Purtroppo ce l’hanno impedito. Credo però che questo del Cairo è stato solo il primo passo (è proprio il caso di dirlo) di una lunga marcia. Il lampo di luce di un’umanità riunitasi in Egitto, fatta di gente comune, che ha squarciato il silenzio su Gaza, è un segnale incoraggiante per un cambiamento profondo nel prossimo futuro.
Il successo delle manifestazioni contro la guerra e il riarmo di Roma del 21 giugno, (50.000 persone) a cui abbiamo partecipato come “reduci” della Global March to Gaza, e la grande adesione alla manifestazione unitaria regionale di Ancona del 28 giugno per la Palestina intitolata “On the right side”, sono la conferma che le coscienze si stanno risvegliando e che un nuovo grande movimento per la verità, la pace e la giustizia che si oppone alla guerra, può davvero vedere la luce e diventare protagonista della politica nazionale e internazionale nei mesi a venire.
David Monticelli